giovedì 25 aprile 2013

Fotomontando, la fotografia di guerra tra artificio e realta'

I PARTE
Post di Maria Milani
<<Fotografare significa "scrivere con la luce": scrivere, cioe' segnare, significare, distribuire la luce sulla realta' in modo che colpisca con intensita' differenziata il marmorizzato dato del quotidiano, chiamarlo in vita nel chiaroscuro.>> (FERRAROTTI, 1974:30)
La fotografia e' un fondamentale strumento di comunicazione che ha dato vita ad altri importanti media quali il cinema e la tv, alimentando con successo il settore della stampa illustrata fino ad essere assorbita anche dalla rete di internet.
Da quando Niepce riuscì a fissare il suo primo "point de vue",  punto di vista, dopo lunghe ore di posa dalla finestra della camera del fratello a Gras, in Francia, nel lontano 1822, molti libri sono stati scritti sulla fotografia, sulla sua storia, sul rapporto tra fotografia e pittura. Fiumi di inchiostro sono stati versati per stabilire se al "nuovo medium" spettasse il titolo nobiliare di Arte. Sono state stampate in tutte le lingue del mondo migliaia di pagine di manuali, più  o meno in-utili, desiderosi di insegnare a fare fotografia. Ma che cos'e' veramente la fotografia, che rapporto intrattiene con la realta', perche' puo' essere così facilmente manipolata, modellata?
La fotografia fin dalle sue origini e' stata subito assorbita dagli altri media, ma cosa succede se una fotografia falsa o manipolata entra in un circuito d'informazione, che effetti puo' avere sulla conoscenza del mondo che ci circonda? E' nata cosi la curiosita' di esplorare un aspetto della fotografia che tutti i libri su di essa affrontano in maniera vaga e indiretta, cioe'  la manipolazione fotografica applicata alla fotografia giornalistica di guerra.
La fotografia viene collocata tra l'artificio e la realta', perche' essa sembra avere un rapporto privilegiato con la realta', data la somiglianza che puo' esserci tra l'oggetto fotografato e la sua immagine riprodotta. Sappiano pero', che la fotografia non e' una registrazione obiettiva del mondo in cui viviamo, dal momento che le tecniche di manipolazione nascono con la fotografia stessa e anche qualora non vengano applicate, l'immagine fotografica e' comunque il frutto di una selezione da parte del fotografo; infatti egli non potendo riprendere una scena nella sua interezza, sceglie cio' che ritiene piu' importante. Di certo la fotografia, almeno quella analogica, non puo' essere identificata neanche con la finzione, a causa di cio' che Roland Barthes chiama "referente fotografico", cioe' "non gia' la cosa facoltativamente reale a cui rimanda un'immagine o un segno bensì la cosa necessariamente reale che e' stata posta dinanzi all'obiettivo, senza cui non vi sarebbe fotografia alcuna" .
(BARTHES, 1980:77)
La nascita della fotografia digitale mette in crisi proprio questa assoluta certezza dell'esistenza di un "referente fotografico". Come possiamo assolutamente essere certi che qualcosa sia veramente esistito davanti all'obiettivo per poter essere riprodotto fotograficamente, se l'immagine digitale nasce e viene diffusa sotto forma di bit e puo' essere sottoposta a raffinate tecniche di manipolazione digitale tali da creare anche oggetti che esistono solo nella mente del loro inventore?
La fotografia digitale, la cui unita' fondamentale non e' piu' la molecola, ma il bit sembra abbandonare la propria materialita' per assumere una dimensione immateriale che le fa spiccare il volo verso il mondo della finzione senza mai raggiungerlo veramente.

Riferimenti bibliografici
Barthes, Roland
1980      La chambre claire. Note sur la photographie, 1° ed, Gallimard, Seuil, (tr. it. di Renzo Guidieri,
              La camera chiara. Nota sulla fotografia, Einaudi, Torino, 1980, 2° ed 2003).
Ferrarotti, Franco
1974.      Dal documento alla testimonianza. La fotografia nelle scienze sociali, 1° ed, Liguori, Napoli.




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